Ancora proteste antigovernative ad Hong Kong, dove in decine di migliaia si sono ritrovati in alcuni punti della città ed hanno avviato cortei con slogan e cartelli sfidando il divieto delle autorità a manifestare.
Ieri vi sono stati scontri con la polizia con il lancio di pietre, oggetti e gas lacrimogeni, manganellate e quant’altro, disordini che hanno portato al ferimento di 38 persone di cui 6 in modo grave, ed all’arresto di 12 individui.
Chi protesta chiede oggi le dimissioni di Carrie Lam, considerata la longa manus delle autorità centrali anche perché nel 2017 il Comitato permanente del Congresso del Popolo nazionale (Npc) ha introdotto un sistema elettorale che prevede per l’elezione del Capo del governo locale la scelta fra due o tre candidati ricavati da una rosa di nomi approvati da Pechino, ovvero “patriottici”.
Carrie Lam, la cui figura si va indebolendo rispetto a Pechino, continua a proporre il dialogo, anche perché “sussistono problemi fondamentali, profondi nella società, che dobbiamo identificare ed affrontare”, ma è un dato di fatto che quel “un paese, due sistemi” non sta funzionando, poiché si tratta di due visioni politiche contrapposte in un’unica casa.
E più che per la governatrice, la rabbia degli abitanti di Hong Kong è verso la Cina dalla quale, nessuno osa dirlo, la città vorrebbe staccarsi.
Divenuta colonia britannica dopo la Prima Guerra dell’Oppio (1839-1842), Hong Kong si espanse nel 1898 fino a comprendere il perimetro della penisola di Kowloon. In base ai trattati sarebbe rimasta britannica per 99 anni, com’è stato.
Amministrata come provincia speciale, è sede di uno dei principali centri finanziari internazionali. Conta 7 mln e mezzo di abitanti.
Fonte notiziegeopolitiche.net Genesis72
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